Rossini torna all’opera di Roma con il dramma giocoso ispirato alle turcherie del 1813
Il dramma giocoso di Rossini torna a Roma dopo vent’anni, con un allestimento che celebra la tradizione attraverso scenografie evocative e interpretazioni vivaci dei protagonisti.

La produzione romana riporta in scena dopo vent’anni il dramma giocoso di Rossini, valorizzando un allestimento storico che unisce tradizione e modernità, con un cast di talento e una direzione musicale raffinata. - Unita.tv
L’opera di Roma ha riportato in scena dopo più di vent’anni il dramma giocoso di Rossini, cominciato nel 1813 e noto per la sua fresca ispirazione sulle “turcherie”. Il lavoro, composto in un solo mese a soli ventuno anni, rappresenta un momento fondamentale nella carriera del compositore, segnando un successo che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Questo ritorno è un’occasione per riscoprire un allestimento che unisce scenografie, costumi e direzione musicale sotto un segno di rispetto e continuità con la tradizione.
Il ritorno dell’allestimento storico
L’allestimento dell’opera, portato in scena dal Teatro Massimo di Palermo nel 2000 e già presentato a Roma nel 2003, si basa su un’impostazione che rende omaggio a Emanuele Luzzati, autore delle scenografie. Il legame con il passato si mantiene saldo anche grazie ai costumi firmati da Santuzza Calì, ripresi da Paola Casillo e Paola Tosti. La regia, firmata da Maurizio Scaparro e ripresa da Orlando Forioso, mantiene uno spirito fedele all’originale, mentre le luci di Vinicio Cheli disegnano ambientazioni suggestive che amplificano la narrazione visiva. L’orchestra affidata a Sesto Quatrini, debuttante nella capitale, offre una direzione puntuale e misurata, mentre il coro preparato da Ciro Visco accresce la forza scenica con precisione.
Scenografia immersiva e simbolica
La scena è dominata dal blu intenso del mare, dipinta sul fondo e strumento di raccordo tra i diversi spazi rappresentati: il palazzo di Mustafà e la spiaggia con la nave italiana naufragata. L’elemento visivo più caratteristico è la grata moresca che attraversa lo spazio scenico, delimitando la comunità femminile del serraglio in pannelli articolati per essere trasformati secondo le esigenze di scena. Si aggiungono dettagli come un lanternone ottomano sospeso e il trono mosaicato del bey, che contribuiscono a creare un’atmosfera orientaleggiante e autentica nello stesso tempo.
Una gradinata a rampe mobili, un veliero sullo sfondo, e altri elementi scenografici come i tappeti orientali e i cuscini da harem animati dal coro degli eunuchi, arricchiscono lo spazio interpretativo e aiutano a far emergere scene di grande vivacità e ritmo. Il basso buffo Tale Deodore Taddeo fa un ingresso a sorpresa dal boccascena, aggiungendo un tono giocoso e irriverente.
I protagonisti in scena
Isabella rappresenta il cuore pulsante della vicenda, una donna franca e scaltra capace di dominare le situazioni per amore di Lindoro. Laura Verrecchia, nel ruolo, mette a frutto un timbro scuro e un’estensione vocale che si avvicina al contralto, regalandoci movenze attente e un equilibrio tra comicità e serietà. La sua interpretazione spazia dagli abbellimenti delicati della cavatina d’entrata “Cruda sorte, amor tiranno”, alla determinazione dell’aria “Pensa alla patria”, fino al virtuosismo sfrenato del finale, capaci di far emergere la complessità del personaggio.
Mustafà, autocrate borioso ma ingenuo, è un ruolo che Adolfo Corrado ha saputo sostenere con solide doti vocali e sceniche. Sostituto all’ultimo momento di Paolo Bordogna, ha affrontato i passaggi più impegnativi con autorevolezza, rendendo credibile la maschera caricaturale del bey di Algeri. Il suo timbro potente si impone soprattutto nelle arie più enfatiche come “Già d’insolito ardore nel petto” e si accompagna a momenti di comicità marcata, sottolineati dal celebre “Pappataci”, atto di derisione mosso contro lo sbruffone.
Lindoro, il giovane innamorato, ha trovato in Dave Monaco un interprete capace di esprimere tenerezza e agilità vocale. La sua cavatina “Languir per una bella” emerge per il legato dolce e il fraseggio espressivo, mentre il suo personaggio, agile e scattante, conserva un lirismo molto convincente durante tutto lo spettacolo.
I ruoli comici e il cast
Tra i ruoli comici, Vincenzo Taormina nel personaggio di Taddeo si distingue per la voce agile e i fraseggi disinvolti. La sua performance mette in luce non solo le doti vocali, ma anche una congruente capacità recitativa, capace di animare con verve ironica le situazioni più farsesche. Da ricordare i momenti come il duetto con Isabella e la surreale nomina a kaimakan, che consiste in una gag ricca di humor orchestrato con precisione.
Jessica Ricci nel ruolo di Elvira sfoggia un soprano brillante e duttile. La sua presenza cresce progressivamente durante l’opera, fino a culminare in momenti di grande slancio vocale come nel quintetto “Il mio cor la testa” e nel finale del primo atto, dove si esibisce in un virtuosismo complesso e sostenuto.
A completare il cast, i giovani talenti Maria Elena Pepi e Alejo Alvarez Castillo, provenienti dallo Young Artist Program ‘Fabbrica’ del Teatro dell’opera di Roma, dimostrano sicurezza e presenza, evidenziando il valore del vivaio artistico impegnato nella produzione.
Tra tradizione e novità musicali
Sesto Quatrini, al debutto nella capitale, ha plasmato una lettura dell’opera che si mantiene attenta a contenere l’esuberanza del pentagramma rossiniano senza sacrificare la forza delle esplosioni ritmiche nei momenti cruciali. La lettura musicale lascia spazio all’energia più festosa soprattutto nei finali di atto, riuscendo a mantenere un equilibrio che valorizza la struttura e il respiro orchestrale.
Gli interventi solistici si evidenziano per nitidezza e raffinatezza, con particolare cura nei legni che si muovono alternando morbidezza a brillantezza lungo l’ouvertüre. Gli archi entrano con passo leggero e sostengono con calore l’intreccio vocale. Le percussioni aggiungono atmosfera e dinamica, soprattutto grazie alla presenza dell’originale “Mezzaluna turca” o “Cappel cinese”, uno strumento a sonagli che Rossini volle consolidare per un carattere orientale, prodotto appositamente dal reparto attrezzeria del Massimo romano.
Il coro ribadisce il carattere ironico e vivace dell’opera, bilanciando momenti di incisività ritmica a passaggi di grande raffinatezza armonica. La sincronia tra cantanti e orchestra risulta efficace nel gestire le sfide dell’ensemble rossiniano, con una coesione che imprime uno slancio originale e ben calibrato.
Riflessioni su temi e simbolismi dell’opera
L’opera di Rossini affronta tematiche che pur nate all’inizio dell’800 conservano un certo senso di attualità. Al centro ci sono relazioni umane che oscillano tra amore fedele e passioni non corrisposte, rappresentate dai personaggi di Isabella, Lindoro ed Elvira. La seduzione e la smania di potere, incarnate da Mustafà, mettono in luce contrasti che coinvolgono dinamiche di genere e autorità.
Un elemento riconoscibile è l’eco risorgimentale che si coglie nelle aria e nei momenti patriottici, elementi che riflettono le tensioni storiche del tempo. La prevaricazione del potere assoluto, i vizi e le virtù umane si intrecciano fino a raggiungere un panorama variegato in cui ogni voce contribuisce a comporre un discorso sui molti aspetti dell’esistenza.
Il carattere dadaista della composizione vocale, con sovrapposizioni di suoni e contrappunti ne conferma la natura giocosa ma non banale, in cui si invita lo spettatore a riflettere sulle contraddizioni con un finale che, come da prassi, conclude con un lieto fine.
Il ritorno di questa produzione a Roma testimonia l’attenzione della Fondazione dell’Opera che ne valorizza la storia, rinnovandone la visibilità davanti a un pubblico contemporaneo. La recita dell’8 giugno 2025 ha mostrato un equilibrio tra rispetto della tradizione e slancio verso il presente, mettendo in luce elementi coreografici, vocali e musicali che confermano la vitalità dell’opera rossiniana.