Si è svolto a Fabrica di Roma, nel Viterbese, l’evento organizzato dalla Comunità ebraica di Roma, dalla Polizia di Stato e dalla locale amministrazione comunale rappresentata dal sindaco Claudio Ricci per raccontare le storie degli ebrei salvati nella bassa Tuscia dai rastrellamenti nazifascisti. Alla presenza del Questore di Viterbo Giancarlo Sant’Elia, del consigliere regionale Enrico Panunzi, del maggiore dei carabinieri Palmina Lavecchia, del presidente dell’Anps Massimo Ricci e dell’associazione carabinieri con Tommaso Pessolano, del sacerdote don Luigi, del comandante della polizia locale Stefano Pacelli e delle massime autorità politiche e militari ha preso la parola la presidentessa della comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello, che, di fronte a centinaia di ragazzi delle scuole, ha ricordato “il significato simbolico e incidente nella realtà che ci circonda” delle storie raccontate dai sopravvissuti. “L’obiettivo della comunità ebraica di Roma vuole riunirsi intorno ai valori sani, sanciti nella costituzione e che rendono le nostre istituzioni solide” anche alla luce “dell’odio ancora presente nella nostra società”. L’evento è stato organizzato grazie alla volontà del poliziotto Egisto Feliziani e alla disponibilità delle famiglie, dopo che il primo era venuto a conoscenza della loro storia. Commovente la testimonianza delle famiglie Polacco e Santini, lasciata in dono alle centinaia di studenti delle scuole medie di Fabrica presenti.




Quella tra Vittorio Polacco ed Emilio Santini è un’amicizia che dura da settant’anni. È iniziata quando la famiglia Santini, negli anni dell’occupazione nazifascista, ha deciso – rischiando la propria pelle – di ospitare segretamente la famiglia Polacco, salvando il piccolo Vittorio dalla deportazione ad Auschwitz dove invece purtroppo sono morti i suoi quattro nonni. “Il 15 ottobre del 1943 – racconta Vittorio – mio padre cercò di portarmi dai nonni paterni. Voleva raggiungere Fabrica di Roma perché iniziavano a scarseggiare i viveri e lì aveva amici che avrebbero potuto aiutarlo. La mattina dopo, il 16 ottobre, io ero a Roma. I tedeschi bussarono alla porta. Porsero un biglietto a mio zio, che parlava il tedesco, in cui c’era scritto di prendere tutti gli oggetti di valore perché sarebbero dovuti andare nel campo di concentramento. Ci fecero salire sul camion. La mia fortuna? Si fermò vicino casa mia. A quel punto mio zio è stato svelto e mentre un tedesco fumava una sigaretta mi buttò tra le braccia di una portinaia che mi portò dalle suore. Quando mio padre tornò da Fabrica a Roma non trovò più la sua famiglia. Venne a prendermi dalle suore e insieme a mia sorella e a mia madre ci disse che avremmo potuto nasconderci a Fabrica, dalla famiglia Santini, che con eroismo riuscì a salvarci”. Un gesto coraggioso quello di Emilio Santini e dei suoi genitori. In un paese piccolo come Fabrica di Roma, che oggi conta novemila anima nel Viterbese, il rischio di essere scoperti e di subìre la ritorsione dei tedeschi era dietro l’angolo. Tutti si conoscevano e basta una razione di vivere in più per destare sospetti. “I nazisti camminavano sotto casa – ricorda Santini – fino all’età di 11 anni siamo stati insieme. Abbiamo vissuto una fratellanza e, dal 1943 a oggi, non ci siamo mai abbandonati”. In otto persone in un appartamento piccolo. “Sapete perché nella bibbia il primo uomo si chiama Adamo? – ha chiesto Massimo Finzi, assessore alla memoria della comunità ebraica agli studenti – perché la parola Adam, in ebraico, non ha plurale. Gli uomini sono tutti uguali”. La polizia stradale, presente con il comandante, ha portato a Fabrica di Roma la famosa Lamborghini della Polizia. I poliziotti, inoltre, sono stati presenti con una pattuglia a cavallo. Alla fine della manifestazione gli studenti si sono recati di fronte alla scuola per piantare un albero di ulivo, simbolo di pace.
Presenti alla celebrazione anche Esther Pavoncello e la figlia Jessica. La prima è la figlia del signor Cesare Pavoncello, protagonista di questa storia, che – morta la mamma appena nato – è stato preso a balia da una signora di Fabrica di Roma, dove è cresciuto.